venerdì 25 aprile 2014

Il tramonto dell'Occidente

Considerazioni di ordine generale

Werner Sombart
Esistono nella storia della cultura europea diversi "occidenti", così come esistono diversi tipi di "Oriente".  Tra queste visioni un ruolo di fondamentale importanza nella cultura europea è stato assunto dal grande affresco Hegeliano sul ruolo della filosofia della storia, con il movimento che da Oriente verso Occidente portava a compimento la realizzazione del “Geist”.
In Germania, nel passaggio tra '800 e '900, si realizza un notevole crollo di fiducia nella realizzazione del "Geist". In qualche modo, si comincia a separare l'Occidente dall'Europa. La Germania, in particolare, si trova schiacciata tra l'incudine degli americani e il martello dei russi.
Si vedono contrapposte due diverse visioni del mondo e, per dirla con Werner Sombart, un'Europa degli Eroi ad un'Europa dei "mercanti".
Indubbiamente esistono dei cicli storici e una delle cose che ho cercato di diffondere dallo studio dei cicli cosmici è che nella storia a periodi aurei fanno seguito periodi argentei, e poi, via via bronzei, fino a lunghi periodi di declino.

 

La fesseria della razionalità occidentale

La barbarie della crisi sistemica ancora in atto (soprattutto a livello economico-finanziario)  produce mutazioni cultural-politiche inenarrabili, smascherando la presunta superiorità razionalità politico-economica occidentale,  compromettendo il concetto stesso di razionalità quale metro esatto di giudizio.
Dov'è andata a finire la sbandierata capacità occidentale di governare saggiamente? Che ne è della sua presunzione di rappresentare un modello universale da seguire e persino da esportare in tutto il mondo, in barba alle diverse culture?
Dobbiamo seriamente domandarci se razionalità, razionalismo, razionalizzazione sono concetti che ancora rappresentano l'essenza dell'Occidente. Evidentemente, volendo seguire la moda scientista, questi sono diventati essi stessi, concetti obsoleti. che appartengono solo alla sua storia e genealogia...
Ma a quale storia e genealogia possiamo riferirci? A quella remota dell'età assiale (un concetto che adesso sta un po' ricostruendo la matrice profonda dell'Occidente); oppure alla matrice greco-romana, o anche a quella cristiana, oggi tanto retoricamente evocata... Oppure alla genealogia più prossima della modernità: la genealogia dell'Illuminismo, della scienza moderna, del secolarismo.
E' sensato ipotizzare che tramite essa possiamo stabilire un confronto positivo con le culture non occidentali, in particolare con l'Islam che è geopolitica mente vicino? Sono domande che possono essere affrontate da tanti punti di vista. In questo senso è l'intera civiltà occidentale che viene messa in questione. Colpisce un fatto: attraverso molti dei suoi esponenti intellettuali, l'occidente mostra una straordinaria capacità analitica, critica e, soprattutto, autocritica... ma ad essa non corrisponde un eguale capacità di orientamento politico e, soprattutto, di governo, dentro e fuori del suo orizzonte geopolitico.
Potremmo dire che ad una forte capacità autocritica non corrisponde altrettanta forza pragmatica e realizzatrice. Si tratta solo di un momentaneo deficit finanziario globale?
Tutto ciò è correggibile? O Siamo di fronte ad una alterazione profonda della sostanza stessa della razionalità? La risposta a mio insindacabile parere è negativa. Ma, andiamo avanti nello sviluppo.
A ben vedere, l'occidente è - esso stesso - colpevole  del peccato di razionalismo; di essere cioè così arrogante da credere che la ragione - di per sé - abiliti gli esseri umani  a conoscere tutto ciò che c'è da conoscere. L'ubriacatura scientifico-positivista ne è una dimostrazione lampante.  Infatti, ancora più mefitico dell'imperialismo militare è l'imperialismo della mente che impone  la fiducia occidentale nella scienza, la fede nella scienza come unica via di conoscenza. Altre forme di conoscenza vengono bollate dai razionalisti come superstizioni.
Non sarebbe ora che l'occidente si liberasse - una volta per tutte - dall'arrogante ingenuità con cui va sottoponendo, spesso anche in modo coercitivo, gli altri popoli ai suoi gretti schemi mentali, giudicabile esclusivamente sulla scala dei suoi valori?
Ma adesso l'Occidente non è più lo stesso di quello del secolo scorso. La Germania di oggi non è quella di Oswald Spengler, e nemmeno quella di Thomas Mann. All'epoca, non solo gli intellettuali, ma anche gran parte dei tedeschi non si identificavano affatto con l'occidente. Meno di un secolo fa, l'occidente era rappresentato dalla civiltà anglo-americana e, al massimo, francese!
Inoltre, l'universalismo non è affatto occidentale.
La logica del sistema occidentale dominante trae vantaggio dal rappresentare se stesso come aperto, pluralistico e, soprattutto, razionale. L'islam, per esempio, non ha necessità di integrarsi in questo ordine di razionalità, relativizzando i principi universali dell'ISLAM, poiché esso stesso Universale.
Esiste dunque una contrapposizione radicale tra la razionalità occidentale e l'ISLAM.
La contestazione è tutt'altro che nuova ed è univoca. Infatti questa Weltanschauung coincide non solo con quella Islamica ma anche con quella di scrittori famosi tedeschi, come appunto, i già citati Thomas Mann e Oswald Spengler. Scrittori che, per certi versi, possono considerarsi avversari ma che, tuttavia, mantengono ferma la loro opinione sull'Occidente. Eppure è assai singolare che proprio in quella fase storica, in cui si parlava di un vero e proprio scontro di civiltà, Max Weber teorizzava il razionalismo come base del pensiero occidentale. Evidentemente, quello era il sintomo di una malattia che stava nascendo in Europa e che né il Nazionalsocialismo né la guerra riuscirono a fermare.

Razionalismo occidentale e modernità

Per i classici del razionalismo occidentale era ovvio che esso coincidesse con la modernità. Oggi non è più così: non esiste più nesso necessario e biunivoco tra razionalismo occidentale e modernità. Certo, in qualunque parte del mondo e per qualunque società che si vuole "moderna", rimangono insostituibili i criteri della razionalità dell'occidente. Ma perché questo avviene? Forse perché questi criteri sono il frutto della cosiddetta "superiorità morale occidentale"? 

La democrazia irrealizzata

E' osservazione assai corrente che chi - all'inizio del ventunesimo secolo - abbia rivolto lo sguardo al secolo precedente - ha potuto constatare come uno dei risultati che da esse emergessero più clamorosamente vi sia stato il li trionfo della liberal democrazia nei confronti dei suoi nemici. Mai prima d'ora era infatti avvenuto che un numero tanto elevato di stati del mondo fossero retti da regime che si definivano e  si definiscono democratici e che i valori democratici fossero così poco contestati, al punto che non sembra esagerazione dire che da allora  (da questo trionfo della liberal democrazia) abbia avuto il sopravvento un vero e proprio conformismo democratico. Se non che, proprio mentre conosce il suo maggiore trionfo, la democrazia (quale concepita ed attuata in occidente) appare tutt'altro che in buona salute, perché troppi dei suoi presupposti essenziali sono profondamente scossi da processi di natura politica, economica  e sociale, sia al livello dei singoli stati sia livello internazionale.
La democrazia - lo sappiamo bene - è insieme un ideale, un progetto e una realtà. Una realtà nella quale l’ideale  è destinato a subire vari condizionamenti,  adattamenti… pagando il prezzo inevitabile di tutta una serie di limitazioni e anche di sufficienze, di deformazioni. Si può legittimamente pensare che se non mantiene tutte le sue promesse, allora la democrazia diventa altro da sé. Inoltre,  occorre insistere sul fatto che se viene meno ai suoi principi fondamentali, ai suoi obiettivi fondamentali, essa subisce un mutamento qualitativo, sopravvivendo come ideologia ma rischiando di perdere la sua sostanza. Credo si possa convenire senza nessuna difficoltà che, come hanno insegnato i maestri  del pensiero democratico, condizione essenziale della democrazia è che i soggetti legittimati a partecipare alle decisioni da cui derivano le leggi  che  regolano  la vita associata  abbiano e siano in grado di mantenere le risorse necessarie per comprendere la natura delle decisioni stesse e, soprattutto, le loro implicazioni, onde esprimere con efficacia il proprio consenso o dissenso nei loro confronti, con le relative conseguenze nella formazione e nella caduta dei governi.
Si richiede, cioè:
  1.  in primo luogo,  che quanti delegati dagli elettori ad esercitare il potere, lo facciano in modo tale  che i governati abbiano la possibilità di conoscerne i meccanismi, gli orientamenti e i processi decisionali. 
  2. In secondo luogo, che il corpo dei cittadini possegga gli strumenti per influire efficacemente sull’esercizio del potere, controllarlo e, se necessario, cambiarlo.
  3. In terzo luogo, che la formazione dell’élite preposta all’esercizio del potere non acquisti un carattere chiuso tale da contraddire apertamente il principio di partecipazione allargata. La rappresentanza deve essere il risultato di un processo di selezione aperto all’insieme dei cittadini.
Non a caso si afferma che “la sostanza della democrazia è il potere ultimo dei cittadini a decidere del proprio destino, vuoi pacificamente, vuoi consapevolmente, nel quadro di una “società aperta”. In altre parole, in una società nella quale non si dia una distribuzione delle risorse tale da impedire  a  qualsiasi cittadino, non solo di partecipare alla formazione delle decisioni politiche, ma anche di accedere ai massimi livelli del potere avente il compito di guidare le sorti comuni, non vi è democrazia.
Orbene, adesso si arriva alla domanda cruciale.
Nelle società che attualmente si definiscono democratiche si sono o no consolidate barriere che pongano ostacoli sempre maggiori a che esse siano e restino effettivamente società aperte e cioè, se siano o meno consolidate posizioni di potere di fatto monopolistiche ed accentrate e quindi inaccessibili al controllo e alle decisioni della maggioranza?
Dalla risposta se ne ricava una certezza: non vi è alcuna democrazia realizzata in Occidente.
Ma è possibile dare sostanza significativa alla partecipazione popolare senza scadere nella demagogia?
E' possibile, cioè, instaurare una sorta di democrazia sociale, realmente partecipata, senza arrivare all'obbrobrio dell'espropriazione collettiva?

© ♚Pierre
Note e Bibliografia di riferimento:

Il tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler,

La crisi del mondo moderno di René Guénon 

Oriente e Occidente di René Guènon, 
La metafisica del Capitalismo, di Werner Sombart. 
Mercanti ed eroi di Werner Sombart e E. Daly
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber
Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann

13 commenti:

  1. A proposito di espropri , sto leggendo un libro su ciò che accadde in Cambogia nel 1974. Eliminazione della moneta. Eliminazione dell' individuo. Ancora oggi , mercato e moneta sono un perverso parafulmine contro le guerre 'reali'.

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  2. La risposta alla tua domanda finale esiste già: si chiama TERZA VIA! Nel 1922, appena si insediò il nuovo governo fascista il primo provvedimento in ambito sociale fu l’abolizione del lavoro minorile, seguito dalla settimana lavorativa di 40 ore, dalle ferie retribuite, dall’istituzione dell’INPS e dell’INAIL, dalla Magistratura del Lavoro, dai contratti collettivi, dalla liquidazione (TFR), dalle case popolari, dalle colonie estive, dall’esenzioni tributarie per le famiglie numerose, dalla sanità pubblica e dalla scuola per tutti … in poche parole fu fondato lo Stato Sociale, invidiatoci da tutto il mondo. E, mentre, nel 1929, a Wall Street, si costruivano parapetti per evitare che le persone si lanciassero e si sfracellassero al suolo, magari colpendo anche ignari passanti, l'Italia aveva già raggiunto da quattro anni (1925) il Pareggio di Bilancio. Altro che chiacchiere!

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  3. L'errore madornale che sovente si compie quando ci si pone dal punto di vista della critica sociale, o Teoria Critica per usare un termine caro ai "francofortesi", è di limitarsi, genericamente, ad asserzione apocalittiche ed alquanto aporetiche sull'autoreferenzialità dell'era della Tecnica planetaria. In questo Heidegger era un maestro. In tempi più recenti Galimberti lo ha riproposto in un orizzonte di chiusura nichilistica e disperata (lontana quindi dagli orizzonti positivi nietzscheani), che proprio per essere una critica omnipervasiva, si trova a pagare il pegno che fu il lascito di Adorno & Co. Non si esce dalla modernità, se non proponendo un paradigma alternativo, che però non può essere semplicemente edificato sull'eros libero e gli ideali astratti e retorici alla maniera della Contro-cultura americana degli anni'60 (Kerouac, Reich, Marcuse, ecc.). Non si può contrapporre la tradizione alla modernità, semplicemente perché il mondo della tradizione occidentale, riproposto com'era in origine, non reggerebbe all'impatto delle verità mutuate dal logorato prometeismo tecno-scientista. Vi sarebbe allora un altro Nietzsche, un'altra critica della morale. Il problema è un altro: dalla modernità non si sfugge, se non ponendosi dal punto di vista della tradizione, ma della Tradizione nascosta, esoterica ed iniziatica. Non vi è alcuna rivoluzione culturale, ma solo una preparazione silenziosa ed accorta tesa all'attesa della fine dell'era moderna, che in quanto ciclo cosmico, deve finire. Ecco allora la necessità del ricollegamento con il Centro Iniziatico, ecco allora diventare vani tutti i sociologismi e i tomi apocalittici. Questa in fondo è la verità: siamo nel Kali-Yuga, e la tradizione può solo essere preservata rifiutando completamente i simulacri della modernità. Deve quindi essere Tradizione iniziatica ed Esoterica, volta alla preparazione del nuovo Ciclo che verrà (quello che le Religioni, ovvero le forme exoteriche, chiamano la fine del mondo). Cordialmente.

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  4. Chiedo gentilmente se è possibile avere una bibliografia di riferimento, Grazie.
    Idamaria.

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    1. Gentile Idamaria,
      Le rispondo a stretto giro di posta, dicendo tosto che per me è impossibile elencare tutti i testi che danno origine ai miei post. Ad ogni buon conto, per accontentarla, metterò a corredo del post quelli più importanti. Buona Lettura.

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  5. Il post è molto interessante... tuttavia non mi unisco al coro del "tanto peggio, tanto meglio". Ci sono dei movimenti che, sfruttando la crisi attuale, propongono una radicale trasformazione della Società, attraverso la distruzione dell'intera classe dominante, promettendo una sorta di paradiso in terra. Nulla di nuovo sotto il sole, se pensiamo che questo falso mito è nato con la Rivoluzione francese ma ha generato solo un clima di terrore. Le medesime speranze taumturgiche sono state propalate a piene mani dagli eredi del pensiero Marxista... e sappiamo come sono andate a finire...
    Rino

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    1. Sono d'accordo con l'anonimo visitatore. Ma siccome ritengo riduttivo rispondere con poche parole: ho scritto più approfonditamente qui: http://vistodasinistra.blogspot.it/2014/05/tramonto-equivale-sconfitta.html

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    2. Sono d'accordo: l'Occidente, pur con tutti i suoi difetti, è molto meglio dell'Oriente. Stesso discroso dicasi per la democrazia.

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    3. E' evidente l'intento, nemmeno troppo velato, di Pier Luigi, di "rompere le uova nel paniere". Non riuscendo nell'intento dall'interno, ci prova dall'esterno... Ora senza volermi dilungare in inutili digressioni circa il carattere devastante delle sue dichiarazioni, mi limiterò a rispondere "a tono" al suo post, proponendomi, nei giorni a venire, a stenderne un altro che possa rispondere adeguatamente e "respons-abilmente" al suo.
      Cordialmente.

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  6. Sulla democrazia attuale: la nozione corrente di democrazia mette in primo piano l'elemento del consenso allargato dei governati come fatto costituitivo imprescindibile, salvo poi dimenticarsi delle cosiddette "maggioranze silenziose", quelle che non votano o, se lo fanno, votano invalidando la scheda. La fesseria Lockiana secondo cui "il consenso del popolo è l'unico titolo di tutti i governi legittimi" è una fesseria sbugiardata dalla storia... basti pensare al consenso che potevano avere i primi governi unitari di questo paese, o anche, alle elezioni imposte nei paesi occupati dall'Occidente, attraverso l'esportazione della democrazia. Per questo il Tramonto dell'Occidente è cosa sicura ....

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    1. Non condivido per nulla il suo pensiero. I difetti della democrazia non si correggono con meno democrazia, bensì con una quota maggiore di essa. fare il contrario sarebbe come buttare il bambino con l'acqua sporca.

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  7. Ottimo intervento de "l'Innominabile" che "apre" veramente a "nuovi orizzonti"... Non è che critichi Julio, che forse non dispone degli elementi necessari per comprendere appieno il mio dire. Infatti, un'altra e più importante osservazione s'impone: la comprensione degli scritti è largamente lasciata a chi legge. Per questo, però, mi sento di consigliare di seguire. Non è difficile, ma un minimo di continuità, difficilissima di questi tempi, pieni di "imprevisti" nella generale instabilità sempre crescente, un minimo di continuità, dicevo, è necessaria. E' chiaro che, lasciando troppa discontinuità, poi è difficile recuperare. Il materiale cresce, gli obiettivi pian piano vengon fuori, e quindi è necessario seguire con un minimo d'assiduità.
    Cordialmente.

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  8. Aspetto con ansia il seguito per poter meglio commentare... per adesso mi limito segnatamente a dissentire.

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